La medicina tradizionale tibetana

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21 Mar La medicina tradizionale tibetana

La medicina tibetana ha origini molto antiche. Si è sviluppata sulla base delle tradizioni autoctone del Tibet e grazie all’influenza delle altre medicine asiatiche, come l’ayurveda e la medicina cinese. Si basa sull’idea che l’uomo, così come l’universo, sia composto dai 5 elementi: aria, acqua, fuoco e terra, che interagiscono tra loro continuamente. Il quinto elemento, lo spazio, è considerato la base degli altri. Questa medicina si articola su tre piani: somatico, energetico e spirituale. Questi tre livelli sono basati a loro volta sugli aspetti essenziali della condizione umana: corpo, energia e mente. Quindi si tratta di una medicina olistica, attraverso la quale “non si intende soltanto un insieme di farmaci preparati con alcune erbe medicinali e qualche minerale, e neppure una semplice terapia medica. Per medicina si intende un insegnamento spirituale”. Il suo obiettivo è quello di ripristinare l’equilibrio tra corpo, mente ed energia.

 

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La salute nasce dall’equilibrio tra i tre sistemi energetici o Umori: il Vento, la Bile e la Flemma.

Questi sono in stretto rapporto con le tre passioni principali: desiderio, avversione e ignoranza, intesa come l’incapacità di comprendere la reale natura dei fenomeni. In particolare il desiderio influisce sul Vento; l’avversione sulla Bile e l’ignoranza sulla Flemma. Di ogni Umore si distinguono cinque aspetti con caratteristiche, sedi e funzioni diverse.

I cinque Venti controllano la respirazione, la circolazione sanguigna, i movimenti corporei, regolano la concentrazione. L’umore Vento è anche quello maggiormente responsabile nei processi psichici.

Il secondo umore, la Bile, è strettamente connessa con i processi digestivi, con la vista e con il colorito della pelle. Molte delle sue funzioni sono connesse al calore corporeo.

L’ultimo umore, la Flemma, nei suoi cinque aspetti, si riferisce alle componenti umide  dell’organismo ed alle loro funzioni; è anche correlato al sistema immunitario.  L’equilibrio di questi quindici fattori genera lo stato di buona salute; quando si produce una condizione di squilibrio, essi diventano causa di malattia. 

 

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La medicina tibetana classifica le malattie in 4 categorie: 

  1. le malattie karmiche;
  2. le malattie derivanti da provocazioni dell’energia (Dön);
  3. le malattie naturali;
  4. le malattie accidentali. 

Vi sono poi le cosiddette malattie mentali.
Per quanto riguarda le malattie karmiche, le cause si possono ricercare nelle vite precedenti del malato, nel karma appunto, e quindi bisognerà agire su di esso per guarire attraverso la purificazione, la trasformazione del karma, il blocco delle concause che favoriscono l’insorgenza della malattia.
Quando parliamo di Dön (lett. “provocazioni dell’energia”) ci riferiamo a esseri non umani che hanno la capacità di influenzare le sfere di energia di una persona. Nell’antica tradizione medica tibetana, collegata alla religione pre-buddhista del Bön, esisteva una grande varietà di rituali per fronteggiare le malattie che scaturivano dal contatto con un Dön. Tutto questo non significa che con il solo rito la persona guarisca: l’azione rituale è considerata complementare ai farmaci e alle altre terapie. La terapia è quindi perfetta dal punto di vista medico quando sa coordinare tutti i tipi di intervento.

Le malattie naturali, invece, possono essere causate da errori nella dieta e nel comportamento che producono squilibrio dei 3 umori. I fattori che possono indurre gli stati patologici sono il clima, gli spiriti, la dieta e il comportamento.

Infine, le malattie accidentali possono essere causate da avvenimenti improvvisi al di fuori del nostro controllo come avvelenamenti, traumi, influenze demoniache. Tuttavia bisogna ricordare che tutte quelle descritte fino ad ora sono solo le cause prossime delle malattie. Nella visione medica tibetana la causa primaria della sofferenza, e quindi anche della malattia, è considerata l’ignoranza della reale natura dell’essere umano. Finché l’uomo non avrà conosciuto a fondo la sua natura, non potrà mai essere libero dalla sofferenza. 

 

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Come si effettua una diagnosi nella medicina tibetana?

  1. Anamnesi generale del paziente e dell’ambiente in cui vive;
  2. Lettura dei polsi;
  3. Esame delle urine.

Per quel che concerne l’anamnesi generale, bisogna cercare l’origine della malattia chiedendo al paziente cosa mangia e quali sono le sue attività quotidiane per capire cosa ha determinato lo squilibrio. Poi vengono esaminati i 5 organi di senso: occhi, naso, pelle, lingua e orecchie. Inoltre il medico tiene conto di altri fattori come l’ambiente in cui vive il paziente, la stagione e il clima, l’età e il genere, la fase della vita in cui si trova. Quando invece parliamo dell’analisi del polso ci riferiamo ad una tecnica molto precisa che richiede esperienza e sensibilità. Quest’analisi consiste nel tastare i polsi attraverso indice, medio e anulare così da avere informazioni sugli organi e sui visceri. Infine l’analisi delle urine che consiste nell’osservare il loro aspetto, il colore, l’odore etc. per poter capire lo stato del paziente. Quindi la diagnosi  si basa sullo stile di vita del paziente ed è necessaria per comprendere le cause dello squilibrio. 

 

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Nella medicina tibetana ci sono 4 modalità di cura principali: la dieta, il comportamento, i farmaci e gli interventi esterni.

I primi due elementi, la dieta e il comportamento, sono la base della salute; se però non dovessero essere sufficienti, si utilizzano i farmaci. La farmacopea tibetana è molto ricca e conta moltissimi rimedi. Gli ingredienti sono di origine vegetale, animale e spesso si utilizzano i minerali. Queste medicine vengono somministrate in forma in pillole, come decotti oppure come polveri da assumere per via orale. Gli interventi esterni invece si possono dividere in tre categorie: morbidi, ruvidi e duri. Per interventi morbidi si intendono compresse (applicazioni fatte sulla pelle), bagni e massaggi. Le applicazioni ruvide si riferiscono al salasso, ai trattamenti con gli aghi e vengono eseguite soltanto se la condizione del paziente lo permette. Le applicazioni dure, invece, sono quelle chirurgiche che in genere sono poco praticate nella medicina tibetana tradizionale. Queste prevedono cura di ferite, amputazioni etc. Questo avviene non solo per la limitatezza dei mezzi tecnici, ma anche come effetto di una visione del corpo umano come campo di energia attraversato da canali che non possono essere lesi o interrotti senza conseguenze.

 

Fonti


Norbu, N., Samphel, T. R. La grande guarigione, Ubaldini Editore, Roma, 2002.

Vitiello, L., Medicina Tibetana: modernità di un antico sistema medico.